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ALFIE: Come può una vita definirsi inutile?

Inutile (“futile” in inglese) è l’aggettivo utilizzato dal giudice Anthony Hayden per definire la vita di Alfie Evans, un bambino inglese di quasi due anni, affetto da una rara malattia neurodegenerativa, ancora sconosciuta. I giudici hanno deciso che questo bambino deve morire per soffocamento, negandogli la ventilazione artificiale.

Si può scegliere chi deve vivere e chi deve morire?

Alfie è ricoverato all’Alder Hey Hospital di Liverpool dal dicembre 2016 e i medici hanno prospettato da mesi la possibilità di sospendere le cure, decisione alla quale i genitori si sono opposti. I giudici inglesi hanno stabilito, in diversi gradi di giudizio, che continuare con la ventilazione artificiale non è nel “miglior interesse” del bambino.

Dalle 22:17 di lunedì 23 aprile Alfie respira autonomamente senza l’ausilio del ventilatore artificiale, a dispetto di quanto previsto dei medici, secondo i quali il bambino non avrebbe resistito più di qualche minuto.

Nonostante l’incredibile resistenza di Alfie e la disponibilità dell’ospedale “Bambin Gesù” di Roma a prendersi cura del bambino, a cui è stata conferita la cittadinanza italiana, i giudici hanno riconfermato che il suo “miglior interesse” resta la morte.

Questo bambino deve morire perché la sua immagine di vita non corrisponde all’idea di vita dominante, che rimanda ad una concezione malata di eugenetica che pensavamo non si fosse più ripresentata dopo gli orrendi crimini nazisti.

È stata stabilita la morte di un bambino, assolutamente normale nelle sue reazioni che, a tantissime ore dalla sospensione della ventilazione, vive, respira, reagisce con le proprie forze.

Ormai la questione è aperta, si confrontano due antropologie del mondo. Da una parte una assolutamente strapotente: l’antropologia dell’uomo padrone di se stesso e che cerca di esercitare il suo dominio sulla realtà. Dall’altra l’antropologia di un uomo aperto al mistero, che cerca nel cammino verso il mistero di realizzare pienamente la propria umanità.

Cultura della vita, cultura della morte. La cultura della vita è certamente minoritaria in tutto il mondo, ma occorre che chi se ne sente responsabile protagonista continui il suo cammino, la sua battaglia.

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